Vedere di nuovo grazie all’optogenetica

Vedere di nuovo grazie all’Optogenetica. Riacquistare la vista sarà possibile grazie all’uso di luce e terapia genetica

Ritornare a vedere grazie al virus portatore del Dna di un’alga fotosensibile. È l’obiettivo quasi fantascientifico a cui lavorano alcuni ricercatori della Retina Foundation of the Southwest di Dallas, in Texas, che fra qualche settimana procederanno alla prima iniezione su 15 pazienti affetti da retinite pigmentosa.

La malattia, di carattere degenerativo, provoca la morte delle cellule fotoricettive dell’occhio e progressivamente una condizione di cecità assoluta.

La sperimentazione, sponsorizzata da una start-up di Ann Arbor – la RetroSense Therapeutics -, sarà la prima a utilizzare l’optogenetica, scienza che combina tecniche ottiche e genetiche di rilevazione, allo scopo di controllare con precisione le cellule nervose.

L’obiettivo dello studio è modificare il Dna di alcune cellule della retina – le cellule gliali – affinché possano reagire alla luce e inviare segnali al cervello. «Questi test forniranno delle vere e proprie miniere di informazioni per l’applicazione dell’optogenetica su esseri umani», spiega Antonello Bonci, neuroscienziato e direttore di un programma di ricerca al National Institute on Drug Abuse di Baltimora.

L’optogenetica si basa sull’uso del Dna di una proteina fotosensibile – Channelrhodopsin – che consente alle alghe di seguire la luce. Aggiunta a un nervo, provoca l’attivazione della cellule quando esposte a una specifica lunghezza d’onda della luce.

Alcuni ricercatori della Stanford University, guidati da uno degli scopritori dell’optogenetica, Karl Deisseroth, stanno portando avanti studi sugli effetti della tecnica sul cervello per il controllo del dolore e della sensazione di paura.

Zhuo-Hua Pan, ricercatore presso la Wayne State University, è convinto però che il miglior campo di applicazione per l’optogenetica sia proprio l’occhio. A differenza del cervello, infatti, l’occhio è trasparente e sensibile alla luce, non ha bisogno di fibre ottiche o di altre attrezzature invasive.

Nell’occhio agiscono due tipi di cellule fotoricettive diverse. I coni sono preposti alla visione dei colori, mentre i bastoncelli garantiscono la visione notturna. In entrambi i casi le cellule reagiscono all’impatto con i fotoni producendo un segnale elettrico che viene trasmesso al nervo ottico e da questo al cervello.

Il team di Pan ha pensato di rimediare alla perdita dei fotorecettori causata dalla retinite pigmentosa attraverso l’iniezione nell’occhio di virus portatori di Dna ricavato dalle alghe. Le cellule gliali dovrebbero così cominciare a produrre proteine fotosensibili, trasformandosi in cellule in grado di reagire alla luce.

Gli scienziati americani si aspettano che il trattamento produca almeno 100mila cellule fotosensibili, una quantità tale da restituire ai pazienti una capacità visiva sufficiente.

I limiti del trattamento riguardano innanzitutto il fatto che la proteina delle alghe reagisce soltanto alla componente blu della luce. Ciò dovrebbe comportare, secondo gli esperti, una visione monocromatica per i pazienti, tendente con ogni probabilità al bianco e nero.

L’altro ostacolo, secondo Jens Duebel, che lavora per l’Institut de la Vision di Parigi, sta nel fatto che la proteina non possiede la sensibilità alla luce tipica di una retina sana. La conseguenza è che i pazienti avranno una visione migliore negli ambienti esterni. Una società francese, la GenSight Biologics, tuttavia, sta cercando di realizzare dei microproiettori montati su occhiali in grado di risolvere il problema. Gli occhiali infatti serviranno a convertire un video in onde luce alle quali la retina geneticamente modificata potrà reagire.

Fonte:italiasalute.it

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